Nascosto tra le colline vulcaniche dei Campi Flegrei, sulle sponde del Lago d’Averno, Il Giardino dell’Orco non è solo un’azienda agricola nei campi flegrei, ma un vero e proprio progetto culturale, educativo e ambientale. A guidarlo c’è Ernesto Colutta, che da anni coltiva un’idea profonda di sostenibilità, in simbiosi con il territorio e con l’obiettivo di offrire esperienze autentiche e a contatto con la natura.

Un’azienda agricola nei Campi Flegrei che rigenera la terra (e le persone)
“Questo posto mi fa stare bene; e ho capito che poteva far bene anche ad altri“
L’avventura de Il Giardino dell’Orco nasce da un bisogno intimo e collettivo: ricostruire un legame con la natura, troppo spesso dimenticato nella frenesia urbana.
L’azienda agricola è nata così, quasi come pretesto per offrire uno spazio di contatto con gli elementi naturali.
Ma qui l’agricoltura non è solo produzione: è circolarità, biodiversità, rispetto degli equilibri ecologici. Dal compost all’irrigazione naturale, dall’apiario all’orto condiviso, ogni scelta è fatta per minimizzare l’impatto ambientale e massimizzare la vitalità del suolo e della comunità.
“Ho sempre avuto insofferenza per l’idea di tenere la natura lontana. Il fastidio per gli insetti, per gli uccelli… io non lo capivo. Volevo costruire un luogo dove la biodiversità fosse accolta, non respinta.“
Agricoltura sostenibile e rigenerativa: il metodo del Giardino dell’Orco
“L’unico modo per garantire la vita di certe specie è creare l’ambiente giusto. Non allevi le lucciole: le inviti a tornare.“
Al Giardino dell’Orco, l’agricoltura non è solo produzione. È cura del paesaggio, coesistenza tra specie, ascolto del territorio. Una filosofia che va oltre la semplice coltivazione e abbraccia una visione più ampia di sostenibilità. Non a caso, Ernesto Colutta la definisce così:
“Quello che coltiviamo è solo una parte. Il vero raccolto è l’equilibrio ecologico che cerchiamo di preservare.“
In questa azienda agricola nei Campi Flegrei, ogni decisione è guidata da un principio: creare un sistema circolare, interconnesso, in cui agricoltura, biodiversità e persone convivono in armonia. Si usano compost derivati dalla cucina, potature come pacciamatura, galline che concimano naturalmente il terreno e persino una vasca biologica per l’irrigazione delle zucche. Tutto contribuisce a chiudere il ciclo e ridurre gli sprechi.
“La cosa migliore che ho fatto qui dentro è non fare niente. Astenermi dall’azione. Lasciare che l’ambiente si autorigeneri.“
Questo approccio rientra a pieno titolo in quella che oggi viene chiamata agricoltura rigenerativa, un’evoluzione dell’agricoltura biologica che non si limita a ridurre i danni, ma ricostruisce fertilità, biodiversità e salute del suolo.
“L’agricoltura biologica nasce per ridurre l’uso della chimica, ed è un bene. Ma oggi sento il bisogno di aggiungere qualcosa, di rigenerare, non solo di privare.“
Anche l’uso dei trattamenti è ridotto al minimo. Solo verde rame, zolfo, calce. Nessun fitofarmaco. E la biodiversità si autoregola: coccinelle e api tengono sotto controllo gli afidi, le lucciole tornano quando gli ambienti lo permettono.
La scelta di non certificarsi biologico non è casuale, ma coerente: i prodotti non vengono venduti sul mercato, ma solo in azienda, a chi visita il luogo e può verificarne di persona l’etica e la trasparenza.
“Chi compra da noi deve venire qui, guardare la terra, vedere come la coltiviamo. Non c’è bisogno di etichette se c’è fiducia.“

L’agricoltura sostenibile, qui, è un atto di responsabilità verso il territorio flegreo, un modo per abitare la terra senza consumarla. Una pratica lenta, riflessiva, rigenerativa. Un’agricoltura che non solo produce, ma educa, trasforma e accoglie.
E poi con il tempo l’ecosistema ti premia, con regali inaspettati, come le rane che vivevano nel Lago d’Averno: erano scomparse da anni, poi all’improvviso…
“Quella vasca puzzolente là dentro, oltre a essere la vasca dove ci vanno le papere… sono comparse due rane là dentro, improvvisamente.“
Fattoria didattica nei Campi Flegrei: educare attraverso l’esperienza
“Se cominci dai bambini, arrivano anche gli adulti“
Con gli anni Il Giardino dell’Orco è diventato anche una fattoria didattica nei Campi Flegrei, accogliendo scuole, famiglie e bambini. Ernesto crede in un’educazione che parte dall’esperienza
L’obiettivo non è solo trasmettere nozioni, ma favorire una trasformazione interiore, che solo l’immersione nella natura può stimolare.
“La didattica è il primo passo. L’obiettivo vero è l’educazione: non ti dico cosa pensare, ti invito a vivere il luogo e farti un’idea tua.“
Chi partecipa alle attività scopre come funziona un apiario, come si semina, come si produce l’aceto con le mele annurche. Ma soprattutto impara a rallentare, ad ascoltare il silenzio del giardino, ad apprezzare la lentezza della vita rurale.

Il simbolismo della mela annurca e il cambiamento secondo Ernesto Colutta
“Dalla mela non nasce mai la stessa mela, ha una genetica instabile. Come la vita, come i progetti veri: mutano, si adattano, evolvono.“
Il nome “Giardino dell’Orco” viene dalla mala orcula, l’antico nome latino della melannurca, mela tipica dell’area flegrea. Plinio il Vecchio la collegava al Lago d’Averno, ritenuto l’ingresso agli inferi. Un simbolo potente, che Ernesto utilizza per raccontare la trasformazione, la metamorfosi, la rigenerazione.

Un’alternativa al turismo mordi e fuggi: vivere come un locale nei Campi Flegrei
“Le persone che ritornano non cercano un’esperienza da consumare, ma un luogo da abitare, anche solo per un giorno.“
Il Giardino dell’Orco si oppone al modello del turismo veloce e superficiale. Qui non si viene solo per “vedere”, ma per “vivere”. Si mangia ciò che si è coltivato, si partecipa ai laboratori, ai campi estivi, si torna più volte perché si sta bene. Siamo oltre il turismo cosiddetto esperenziale.
Futuro, circolarità e nuovi orizzonti per Il Giardino dell’Orco
“Vendiamo solo in azienda. Chi vuole comprare deve venire qui, vedere la terra, camminarci sopra. Perché è tutto lì: nella relazione con il luogo.“
Oggi ne Il Giardino dell’Orco tutte le attività vengono svolte sul posto.
Alla domanda sui progetti futuri Ernesto mi ha parlato di un campeggio agricolo sostenibile, il rafforzamento dell’agricoltura circolare, l’espansione dell’offerta educativa per bambini e adulti, l’accoglienza di giovani imprenditori agricoli, come chi coltiva lavanda o studia le api.
Ma si tratta di idee che partono da una condivisione di valori, fatta con persone che si avvicinano a lui perché condividono la stessa visione della vita
Conclusioni
Un poco come l’anti-eroe, io definisco Ernesto un anti-imprenditore: lui non cerca il massimo profitto, ma il massimo equilibrio. Fa impresa per rigenerare, non per accumulare. Non impone un modello, ma ascolta il contesto e si adatta, in modo radicale, umano, sostenibile
In un territorio come i Campi Flegrei, ricco di energia, storia e instabilità naturale, Il Giardino dell’Orco diventa un punto di riferimento per chi vuole riscoprire l’autenticità del vivere lento, immerso nella biodiversità e nel senso di comunità.
“L’instabilità dei Campi Flegrei mi fa sentire bene. Dove tutto si muove, tutto può cambiare. E se cambia, può anche rigenerarsi.“





2 risposte
Un bellissimo modello da copiare anche nella vita quotidiana.
Piccole e grandi scelte per una vita sostenibile, integrata nella natura che ci circonda con la consapevolezza di essere parte di un organismo vivente che lavora in simbiosi e non è lì per fagocitare, ma per esserne parte attiva.
Complimenti a Ernesto Colutta che con la sua visione in continua realizzazione dimostra che si può!
Condivido pienamente e grazie per aver condiviso il tuo pensiero con noi!